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MARIO GIACOMELLI
Forma e Poesia

a cura di Chiara Massimello

Mario Giacomelli, Presa di coscienza sulla natura (anni’70), courtesy collez. Maassimo Prelz Oltramonti e © Archivio Mario Giacomelli

Classe 1925, Mario Giacomelli è tra i più grandi Maestri della fotografia italiana e suo è il merito di aver esportato nel mondo un’arte per cui l’Italia non era così riconosciuta.

Senigallia è la città in cui è nato e vissuto fino al 2000, anno della sua morte, occupandosi principalmente della sua tipografia. Inizia a scattare le prime fotografie all’inizio degli anni cinquanta, in spiaggia, insieme ai ritratti delle persone a lui vicine. Giuseppe Cavalli, fotografo intellettuale, lo introduce nel mondo dei circoli fotografici e della riflessione sulla tecnica e sul ruolo della fotografia. Sono gli anni de «La Bussola» e «La Gondola», mentre nel 1954 si costituisce «La Misa», centro del dibattito teorico e operativo del secondo dopoguerra in Italia, di cui Giacomelli fa parte, nella riflessione sulla fotografia tra documento (neorealismo) e arte. 

Un linguaggio molto personale, un’incredibile abilità tecnica e una poesia istintiva caratterizzano da subito la sua opera, dalle prime nature morte con oggetti trovati in casa, alla serie Ospizio, o nei Paesaggi, che restano uno dei temi prediletti dall’artista per decenni: un luogo in cui ritrovare se stessi.

I toni delicati di grigio di Cavalli lasciano il posto al forte contrasto tra il bianco e il nero che si va ad accentuare negli anni, e la macchina fotografia, modificata secondo le esigenze dell’artista, diventa vera interprete del suo pensiero. Il lavoro viene strutturato in racconti e sequenze che scandiscono tutta la sua vita: Scanno, Puglia, La Buona Terra, Presa di coscienza sulla natura (Paesaggi), Io non ho mani che mi accarezzino il volto (I Pretini), etc. etc. Ogni immagine è parte di un tutto indivisibile, un divenire che l’artista riprende e revisiona nel corso degli anni, in cui non è sempre facile districarsi se non grazie alle indicazioni annotate sul retro delle opere. Come spesso accedeva negli anni ’50, non sono specificati il numero di tiratura, l’anno delle singole foto (normalmente ad essere datata è la serie nella sua totalità), e solo raramente la firma compare (a volte anche sul fronte); ma l’analisi della carta, lo stile linguistico, e i documenti d’archivio, riescono a circoscrivere con precisione le opere.

Instancabile sperimentatore, Giacomelli racconta una realtà senza tempo, in continuo mutamento.

Mario Giacomelli, La buona terra (1964/66), Courtesy Collezione Massimo Prelz Oltramonti ©Archivio Mario Giacomelli

Mario Giacomelli, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (serie composta nel 1966/68 con fotografie dal 1954 al 1966), Courtesy collezione Massimo Prelz Oltramonti ©Archivio Mario Giacomelli

Nei paesaggi, come rughe della terra colme di storia, l’artista chiede ai contadini di arare i campi secondo le sue indicazioni, creando geometrie astratte di linee che poi in stampa accentua ulteriormente, oppure scatta i terreni arati dall’alto, in lontananza, usando un piccolo aereo, cercando nell’immagine solo i segni essenziali. Non stupisce che diventi amico di Alberto Burri, conosciuto nel 1966, e sia attratto dall’informale. In tutto il suo lavoro, la realtà è solo lo spunto per l’inizio di un racconto. Citazioni letterarie ispirano spesso i suoi temi fotografici, come Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1966) da Cesare Pavese, L’infinito e A Silvia da Giacomo Leopardi, Io non ho mani che mi accarezzino il volto da una poesia di Padre David Maria Turoldo. 

È questo forse il più noto tra i progetti dell’artista: realizzato tra il 1961 e il 1963 all’interno del seminario episcopale di Senigallia, mostra i giovani “pretini” felici, in momenti di svago. La Chiesa del tempo non gradì per nulla il progetto, tanto da arrivare a chiedere i negativi al fotografo, ma le immagini, invece, sono diventate iconiche e lo sono tuttora. Il vero riconoscimento dell’opera di Giacomelli avviene quando John Szarkowski, direttore del dipartimento di Fotografia del MOMA di New York, nel 1964, acquisisce per il museo l’intera serie Scanno e alcune fotografie della serie Io non ho mani che mi accarezzino il volto. Da allora sue fotografie sono entrate nella collezione di grandi musei del mondo: dal Metropolitan Museum di New York al LACMA di Los Angeles, dal SFMOMA di San Francisco alla National Gallery di Washington. In Europa è nelle collezioni della GAM di Torino e della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, della Maison Européenne de la Photographie di Parigi, del Musée de l’Elysée di Losanna e del Victoria and Albert Museum di Londra. The Phair 2023 presenta “Forma e Poesia”, 70 fotografie di Mario Giacomelli dalla collezione Massimo Prelz Oltramonti. Una panoramica sul lavoro dell’artista selezionata con lui poco prima della sua scomparsa.

Testi a cura di Chiara Massimello

Mario Giacomelli,Io non ho mani che mi accarezzino il volto – Pretini (1961/63), courtesy collezione Massimo Prelz Oltramonti ©Archivio Mario Giacomelli

MARIO GIACOMELLI

Opere dalla collezione di Fondazione CRT per l'Arte Moderna e Contemporanea e della GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino

La Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT nasce nel 2000 per volere della Fondazione CRT allo scopo di promuovere l’arte contemporanea come fattore di sviluppo e innovazione sociale; questa missione viene attuata in primo luogo attraverso l’acquisizione di opere d’arte contemporanea destinate ad arricchire le collezioni della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino e del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, in secondo luogo sostenendo progetti innovativi nei campi dell’educazione e della formazione, in collaborazione con le principali istituzioni culturali del territorio.

All’interno della propria collezione, che oggi conta oltre 900 opere d’arte di oltre 300 artisti, assume particolare rilevanza un nucleo fotografico di oltre 300 opere dei più importanti fotografi italiani del secolo scorso, e la selezione degli scatti di Mario Giacomelli, presentata a The Phair, ne rappresenta uno scorcio prezioso.  

Le opere esposte sono tutte stampe ai sali d’argento realizzate con l’inseparabile Kobell Press, l’unico apparecchio fotografico utilizzato da Giacomelli durante tutta la sua carriera. In queste fotografie Giacomelli affronta il tema del paesaggio rurale che viene indagato come stratificazione di segni e di memorie che tende sempre di più ad una rappresentazione simbolica. Le figure umane sono assenti oppure appaiono come presenze allucinate e irreali. La ripresa è molto spesso zenitale e carica di simbologie misteriose che emergono dal gioco contrastato dei neri profondi e dei bianchi abbaglianti.

 Mario Giacomelli, La buona terra, 1964-1966 CRT/225, Stampa a sali d’argento, cm 29,5cm x 39,5cm

Mario Giacomelli nasce a Senigallia nel 1925.

Orfano di padre, costretto a sospendere gli studi per aiutare la propria famiglia, a tredici anni lavora come garzone in una tipografia, all’età di 25 anni riesce ad avviare la propria attività di tipografo grazie alla concessione di un prestito. Nel 1953 acquista la sua prima macchina fotografica, una Bencini Comet S, con la quale realizza degli scatti in spiaggia e si appassiona al mezzo fotografico. Decide di dedicare la sua vita alla fotografia, intrappolando attimi di quotidianità attraverso un punto di vista inedito, influenzato dall’umiltà delle sue origini e dalla ricerca sulla materia. Le prime fotografie, Ritratti di amici e parenti disposti a posare per lui e Nature Morte della sua casa e del suo orto, vengono stampate nello studio di Lanfranco Torcoletti, il quale gli presenta Giuseppe Cavalli.

Quest’ultimo nota il talento di Giacomelli e lo inserisce nell’Associazione Fotografica Misa per dar vita a un nuovo movimento artistico. Guidato da un allievo di Cavalli, Ferruccio Ferroni, Giacomelli apprende i rudimenti della tecnica fotografica e partecipa a numerosi concorsi vincendo, nel 1955, quello di Castelfranco veneto, nel quale la giuria lo denomina “l’uomo nuovo della fotografia”. Partecipa alle principali mostre e concorsi fotografici italiani, comparendo anche, nel 1959, nella mostra Subjektive Photographie 3 Internationale de Photographies modernes, a Bruxelles. Compare nelle principali riviste di fotografia del tempo. Nello stesso anno acquista una Kobell Press obbiettivo Voigtlander color-heliar 1:3,5/105, da cui non si dividerà maie che negli anni modificherà per adattarla alle sue esigenze stilistiche sperimentali e al suo linguaggio ad alto contrasto del bianco e del nero, divenuto la sua cifra stilistica per rappresentare l’impeto tragico della realtà.

Appartengono a questo periodo degli esordi le serie: Paesaggi, Vita d’ospizio e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (serie sull’ ospizio che Giacomelli ha continuato ad indagare fino agli anni ’90), Lourdes, Scanno, Puglia, Zingari, Loreto, Un uomo una donna un amore, Mattatoio, Pretini (Io non ho mani che mi accarezzino il volto), La buona terra, quest’ultima dedicata al mondo contadino, Motivo suggerito dal taglio dell’ albero, Caroline Branson da Spoon River, il primo lavoro fotografico ispirato a un poema, nato dal prezioso contatto con Luigi Croscenzi.

Nel 1978 partecipa, con fotografie dalla serie Presa di coscienza sulla natura (Paesaggi), alla Biennale di Venezia.

La vicinanza alla poesia caratterizza la produzione fotografica degli anni Ottanta. Per citarne alcune: Il teatro della neve, Il canto dei nuovi emigranti, A Silvia, L’ infinito, Felicità raggiunta si cammina.

Dialogo tra fotografia e poesia che continua negli anni ’90 con altre serie come Io sono nessuno, La notte lava la mente, Bando, La mia vita intera.
Nel periodo della maturità, gli anni Novanta, Giacomelli diviene più introspettivo e crea serie autobiografiche e intime, come l’ultima, composta prima della morte, Questo ricordo lo vorrei raccontare. Mario Giacomelli muore nel 2000.

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